Chiesa di San Francesco a San Giovanni in Persiceto
- la perdita quasi totale dell’apparato decorativo, in seguito alla soppressione napoleonica del 1798, il successivo utilizzo dello stabile come caserma dei Pompieri dal 1874 al 1963 e la conseguente trasformazione dell’edificio a magazzino ed autorimessa
- l’assenza di foto che documentano lo stato della chiesa relativo al progetto di Torreggiani
- le poche fonti storiche che descrivono l’assetto del complesso


Il progetto di restauro si è mosso all’interno di due casi limite: da una parte il ripristino dellopera “com’era dov’era”; dall’altra gli errori commessi nel restauro precedente, caratterizzato da un’assenza totale di pensiero. Dunque, di fronte ad un caso di studio dalle immense difficoltà tecniche e teoriche, quali la totale assenza di documentazione fotografica relativa allo stato pregresso del bene, l’ingente presenza delle lacune nell’apparato decorativo che non ne permettevano l’interpretazione certa, nonché lo spessore dell’autore con cui ci si confrontava, si è cercato di condurre un intervento di restauro “critico-conservativo” che preservasse quanto del monumento ci è pervenuto e ne consentisse una lettura ad oggi resa impossibile dagli eventi che l’hanno irrimediabilmente mutilato.
Le modalità d’intervento si sono basate quindi su una duplice necessità: da una parte la conservazione integrale, nei limiti del possibile, delle murature e delle decorazioni rimaste e la reintegrazione dei frammenti certamente documentati, dall’altra la trasmissione degli elementi architettonici compositivi andati perduti nell’intento di dare una lettura complessiva dell’oggetto come era stato progettato dal Torreggiani.


- l’analisi metrico-proporzionale del progetto di Alfonso Torreggiani
- l’analisi dei “gialli-rossi” (demolizioni-nuove costruzioni) tramite cui evidenziare i cambiamenti costruttivi dell’intero complesso conventuale tra il 1877 ed oggi
- la lettura critica dell’opera, analizzando attentamente tutte le tracce presenti sulle superfici, sia in pianta che in alzato e mantenendo sempre evidente il rapporto interno/esterno dell’edificio
- la ricostruzione della successione cronologica relativa alle “unità stratigrafiche murarie”, attraverso matrici temporali
- analisi delle acque
- analisi del degrado




Si prevede, poi, l’installazione di videoproiezioni che mostrino l’immagine restituita dallo studio effettuato in precedenza. I proiettori verranno installati su binari sospesi, che ospiteranno anche l’impianto di illuminazione indiretta, disposti trasversalmente alla navata e fissati alle pareti sopra la trabeazione. In questo modo l’impianto sarà poco invasivo e consentirà l’adattamento dello spazio per i vari usi che ridefiniranno il complesso come “polo culturale”.
Sulle pareti che un tempo ospitavano gli organi della chiesa sarà possibile vedere la videoproiezione della foto degli organi, essenziali per la percezione dell’apparato decorativo.
Sono state ritrovate quattro tipologie di pavimentazione diversa sovrapposte. Si tratta di pavimentazioni in cotto, in cui si riscontrano diverse dimensioni per le mattonelle usate. La pavimentazione più antica, posata intorno al 1200, è composta da mattoni di 15x30cm disposti in senso longitudinale all’edificio, la pavimentazione successiva da mattonelle di dimensioni 15x15cm, la pavimentazione settecentesca da mattoni di 15x30cm disposti in senso trasversale all’edificio ed infine è presente (in porzioni discontinue) una pavimentazione più recente, realizzata nell’intervento di ripristino delle funzioni ecclesiastiche databile intorno al 1800, in mattonelle 31x31cm.
Le indagini hanno consentito di verificare che nessuna delle pavimentazioni si estende per l’intero sviluppo del complesso. Nella zona absidale si evidenzia un cambio di orientamento della pavimentazione, subito dopo il disegno barocco che presumibilmente aveva lo scopo di distinguere quest’area dal resto della navata. Infine a ridosso degli accessi esterni alla chiesa sono presenti superfetazioni in materiale cementizio realizzate dai Pompieri per agevolare l’accesso dei mezzi antincendio.
Sono state presentate due diverse ipotesi d’intervento, sulla base dei risultati che dalle diverse stratigrafie potrebbero emergere in seguito alla rimozione delle superfetazioni.
Nel primo caso si ipotizza l’asportazione del pavimento ottocentesco in cotto durante la rimozione delle aree in cemento, in quanto coeso allo strato superiore e il ritrovamento del sottostante pavimento settecentesco, che verrà conservato e raccordato alla pavimentazione ottocentesca circostante.
Nella seconda ipotesi, invece, si considera l’eventualità di non trovare alcun residuo delle pavimentazioni e si procederà dunque nell’integrazione della lacuna con una pavimentazione in teak grezzo di colore grigio-bianco particolarmente adatto all’umidità dell’ambiente e resistente all’usura: un approccio moderno per colmare i vuoti dell’antico.
Per le lacune di piccole dimensioni l’integrazione sarà realizzata con mattonelle in cotto dello stesso colore di quelle ottocentesche, appositamente bordate in modo da rendere distinguibile l’intervento. Per le porzioni di pavimento settecentesco già scoperto, posto ad un livello inferiore rispetto allo strato ottocentesco, il dislivello tra le due pavimentazioni verrà raccordato in cocciopesto, mantenendo lo stato di fatto. Si utilizzerà il teak nella zona absidale, che oggi si presenta in terra battuta. Saranno conservati gli scavi archeologici effettuati per le indagini, protetti con lastre di vetro ed illuminati dal basso tramite faretti, rendendo così visibile la stratigrafia di tutte le testimonianze riscontrate.


